Brancaccio: “Il Jobs Act? Peggio della riforma Fornero”

micromega online, 23 aprile 2014

La bocciatura del Jobs Act è sonora. Emiliano Brancaccio, docente all’Università del Sannio e promotore del “monito degli economisti” contro le politiche europee di austerity, è netto: “Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito a un progressivo smantellamento delle tutele del lavoro. Il provvedimento del governo Renzi è il sequel di un film già mandato in onda tante volte. Non intravedo svolte di politica economica”.

Eppure i centristi capeggiati dal ministro Angelino Alfano promettono battaglia al Senato contro le modifiche apportate dal Pd, tanto che il governo porrà il voto di fiducia. Siamo al braccio di ferro all’interno della maggioranza. Per lei il testo, in Commissione Lavoro alla Camera, è stato veramente stravolto?

La sinistra del Pd è riuscita ad apportare alcuni miglioramenti al testo. Nonostante queste modifiche, però, il segno complessivo del Jobs Act non cambia: assisteremo a una ulteriore precarizzazione dei contratti di lavoro. Ci sono novità peggiorative anche rispetto alla riforma Fornero, come l’eliminazione della causale sui contratti a tempo determinato, la possibilità di prorogare questi contratti e l’annacquamento dell’obbligo di stabilizzazione degli apprendisti.

Il ministro Padoan sostiene che questi provvedimenti faranno aumentare l’occupazione. Nel criticare questa previsione Lei ha coniato il termine “precarietà espansiva” e l’ha definita un’altra illusione. Come fa a dire che Padoan si sbaglia?

Padoan è tra coloro che hanno insistito a lungo con la fantasiosa dottrina della “austerità espansiva”, quella secondo cui l’austerity avrebbe dovuto risanare i bilanci, ripristinare la fiducia dei mercati e rilanciare la crescita e l’occupazione. In realtà l’austerity ha depresso l’economia e non ha risanato i conti. Su indicazione della Bce e della Commissione, allora, il ministro oggi propone una nuova ricetta: la “precarietà espansiva”, per l’appunto, ossia l’idea che una maggiore flessibilità dei contratti aiuterà a creare nuovi posti di lavoro e a ridurre la disoccupazione. Ma le evidenze empiriche ci fanno ritenere che si sbaglino di nuovo. In una rassegna pubblicata qualche anno fa, gli economisti Tito Boeri e Jan van Ours hanno rilevato che su 13 studi empirici esaminati ben nove di essi davano risultati indeterminati e tre di essi indicavano che una maggiore precarietà dei contratti può addirittura determinare più disoccupazione. Alla luce di queste evidenze persino Olivier Blanchard, capo economista del Fondo Monetario Internazionale, è arrivato a riconoscere che non vi è una precisa correlazione tra le due variabili. Una spiegazione sta nel fatto che i contratti precari da un lato possono indurre le imprese a creare posti di lavoro in una fase di espansione economica, ma dall’altro consentono alle aziende di distruggere facilmente quegli stessi posti di lavoro nelle fasi di crisi. Alla fine tra creazione e distruzione dei posti di lavoro l’effetto complessivo risulta essere nullo, con buona pace di Padoan. E di Draghi.

Il M5S si è scagliato contro il Jobs Act parlando di “ritorno alla schiavitù”. Frasi che fanno parte del teatrino politico?

Credo vi sia un’espressione più adatta al nostro tempo: intensificazione dello sfruttamento capitalistico del lavoro. E’ un fenomeno che si è verificato in misura particolarmente accentuata negli ultimi vent’anni, durante i quali abbiamo assistito ad uno smantellamento progressivo del diritto del lavoro. Questa tendenza si è manifestata nella maggior parte dei paesi industrializzati, anche se in Italia vantiamo un record: dal 1998 l’indice generale di protezione dei lavoratori calcolato dall’OCSE è crollato più che in ogni altro paese europeo.

Tutto iniziò dal pacchetto Treu voluto dal centrosinistra?

I primissimi provvedimenti risalgono persino a Ciampi. E’ vero tuttavia che il pacchetto Treu determinò una caduta molto accentuata dell’indice di protezione dei lavoratori, alla quale seguì un calo ulteriore con la legge Biagi del governo Berlusconi. Il Jobs Act di Renzi non è altro che il sequel del medesimo film che i governi che si sono succeduti in questi anni hanno quasi ininterrottamente mandato in onda. Con risultati irrilevanti sul terreno dell’occupazione. Del resto, la creazione di lavoro dipende soprattutto da altri fattori, tra cui l’orientamento espansivo o restrittivo elle politiche economiche.

A proposito di politiche economiche, in Europa il premier appare in difficoltà. Dopo l’incontro con Angela Merkel ha deciso di puntare a un deficit pubblico in rapporto al Pil ben al di sotto del vincolo europeo del 3%. In un’intervista rilasciata all’Espresso Lei si è dichiarato scettico sugli obiettivi di bilancio del governo. Perché?

Renzi ha scelto di porsi in sostanziale continuità con le politiche di austerity che fino ad oggi sono state adottate in Europa. Proprio per questo, tuttavia, egli rischia di non raggiungere gli obiettivi di contenimento del deficit che si è dato. Nel 2014 la crescita del Pil potrebbe rivelarsi inferiore al già risicato 0,8 percento annunciato dal governo. La conseguenza è che il rapporto tra deficit e Pil potrebbe rivelarsi maggiore del previsto. Sarebbe l’ennesima smentita per la dottrina della “austerità espansiva”.

Renzi però rivendica i famigerati 80 euro al mese per i dipendenti che ne guadagnano meno di 25mila euro lordi. C’è chi la definisce una mossa finalmente “di sinistra” che sarà anche in grado di contrastare la crisi. Per lei?

Prima di definirla una mossa “di sinistra” vorrei capire più in dettaglio dove nei prossimi anni la spending review andrà a tagliare. Se ad esempio colpisse i servizi pubblici i lavoratori subordinati potrebbero trarre più svantaggi che benefici. Riguardo agli effetti sulla crescita, vorrei ricordare che in Italia negli ultimi 5 anni abbiamo perso un milione di posti di lavoro e abbiamo registrato un incremento del 90 per cento delle insolvenze delle imprese. Sono perdite colossali, di proporzioni storiche, che dovremmo affrontare con una concezione completamente nuova della politica economica pubblica. Chi sostiene che invertiremo la rotta con 80 euro in più al mese in busta paga non sa quel che dice.

Intervista di Giacomo Russo Spena. La riproduzione è consentita citando la fonte.