Con queste politiche l’Unione è destinata a sgretolarsi. E in gioco non è solo la moneta ma il mercato unico europeo

Il Sole 24 Ore, 24 marzo 2017

di Emiliano Brancaccio*

L’euro rappresenta un tentativo fallito di gestione “morbida” dei durissimi processi di ristrutturazione capitalistica alimentati dal consolidamento del mercato unico europeo. La definitiva liberalizzazione dei movimenti di merci e di capitali ha esasperato la competizione tra capitali europei e ha alimentato gli squilibri commerciali e finanziari tra i paesi forti e i paesi deboli del continente.

Stando ai suoi fautori, la moneta unica avrebbe dovuto aiutare a governare questi sbilanciamenti. I paesi deboli sarebbero stati indotti dalle istituzioni europee ad attuare politiche di deflazione interna al fine di diminuire le spese, aumentare la competitività e cercare così di ridurre i loro eccessi di importazioni sulle esportazioni. In cambio, la politica monetaria sarebbe stata condivisa tra tutti i paesi, in modo da venire incontro alle esigenze di solvibilità delle economie più deboli.

Nella visione dei padri fondatori dell’euro, in questo modo il processo di “centralizzazione” europea non si sarebbe arrestato: i capitali in affanno sarebbero stati messi fuori mercato oppure acquisiti dai capitali più forti, ma a un ritmo blando, politicamente gestibile, tale da scongiurare reazioni protezionistiche. La grande crisi iniziata nel 2008 ha sconvolto questi piani, e ha rivelato tutti i limiti del progetto europeo. Anziché mitigare gli squilibri, le politiche deflattive imposte dall’Unione hanno alimentato la spirale recessiva, che ha aggravato la posizione debitoria dei paesi più deboli e ha reso l’azione della BCE sempre meno in grado di garantire la loro solvibilità.

In un simile scenario, resta valida la previsione del “monito degli economisti” pubblicato nel 2013 sul Financial Times: insistendo con queste politiche, l’attuale assetto dell’Unione è destinato a sgretolarsi. E un mero ritorno alle valute nazionali non risolverà i problemi. Ciò che davvero è in gioco è la causa originaria degli squilibri: il mercato unico e la connessa libertà degli scambi.

* Università del Sannio