Brancaccio, Realfonzo e Salvati sul Corriere della Sera

Prosegue il dibattito suscitato dal “monito degli economisti”. Anche sul Corsera, sia pur fugace, fa capolino un dubbio sulla strategia di riequilibrio dell’eurozona e sulla ideologia del “vincolo esterno” quale fattore di modernizzazione del Paese

CORRIERE DELLA SERA – 8 ottobre 2013

L’agognata stabilità politica sarebbe sufficiente di per sé a sradicare le cause profonde dell’attuale instabilità economica? Il “monito degli economisti” da noi promosso, pubblicato lo scorso 23 settembre dal Financial Times, evidenzia un fatto che a tale riguardo ci sembra rilevante: sebbene appartenenti a diversi indirizzi di ricerca, autorevoli studiosi convergono nel sostenere che né le manovre di “austerity” né le riforme “strutturali” sono in grado di arginare i divari macroeconomici tra i paesi dell’eurozona che stanno tuttora minacciando la sopravvivenza dell’Unione Monetaria. Queste politiche possono infatti dar luogo a una depressione dei redditi di tale portata da rendere più difficili i rimborsi dei debiti, pubblici e privati. In un articolo pubblicato sul Corriere del 29 settembre, Michele Salvati riconosce il problema e osserva che a una lunga asfissia occupazionale causata dalle attuali politiche potrebbe comunque far seguito la deflagrazione dell’eurozona. Salvati si domanda se un “risveglio di serietà e di orgoglio” del ceto politico italiano possa evitare una tale, nefasta successione di fasi. Ci permettiamo di osservare che un risveglio, per dirsi tale, dovrebbe implicare la fine dei sogni. Per lungo tempo ai vertici di questo Paese si è coltivata l’illusione che un arcigno “vincolo esterno” potesse spontaneamente favorire la modernizzazione del capitalismo nazionale e dell’apparato statale, sia pure in un deserto di progettualità e di investimenti. Oggi sappiamo che quel miracolo non è avvenuto, eppure osserviamo che le speranze si rinnovano e il sogno continua.

            Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo

         

E’ vero che la speranza coltivata in un recente passato dalla parte migliore della nostra classe dirigente – che “un arcigno vincolo esterno potesse spontaneamente favorire la modernizzazione del capitalismo nazionale e dell’apparato statale” – si è rivelata un’illusione. Ma che questa modernizzazione sia necessaria per stimolare una crescita sostenibile del reddito e dell’occupazione è fuori dubbio: nel medio-lungo periodo un Paese crea redditi e occupazione nella misura in cui è efficiente e competitivo, nella misura in cui guadagna sul mercato i redditi che distribuisce. E dubito che una situazione di “catastrofe” produca un atteggiamento favorevole alla modernizzazione, alle riforme strutturali, più di quanto lo stia creando l’attuale situazione di “asfissia”. E’ un problema di classi dirigenti e di consenso sociale, il che spiega il mio interesse di economista per la politica.

                           Michele Salvati