Inutile invocare il papa straniero

l’Espresso, 3 settembre 2017

 

 

 

 

 

di Emiliano Brancaccio

Dalla crisi finanziaria globale iniziata un decennio fa, il capitalismo italiano non è mai realmente uscito. Una recente indagine di Mediobanca sulle grandi e medie imprese italiane segnala che i fatturati non hanno ancora nemmeno sfiorato i livelli pre-crisi, mentre gli investimenti e la produttività sono letteralmente crollati. Gli ultimi dati di Creditreform mostrano inoltre che l’Italia è l’unico paese europeo in cui le insolvenze delle imprese si situano tuttora a livelli allarmanti, con un incremento del centosettanta percento rispetto al dato del 2007. Con simili evidenze è difficile non provare disagio per gli ottimisti impenitenti che ci esortano a trarre conforto dalla modestissima ripresa degli ultimi anni: per certi versi ricordano quei tifosi che esultano quando la squadra del cuore segna finalmente il gol della bandiera mentre perdeva dieci a zero.

In alcuni pezzi di establishment sembra farsi strada l’idea tragica che per il nostro debole e frammentato capitalismo l’odierno disastro fosse un destino in fin dei conti ineluttabile. L’Ecofin addirittura proietta questo copione shakesperiano nel futuro, prevedendo che nei prossimi cinquant’anni la crescita dell’Italia sarà pari a meno della metà della crescita media dell’Unione europea. Una stima funesta che il Governo prova a rettificare, ma con voce ormai sempre più incerta.

Non tutti, per fortuna, sono persuasi da questa teleologia negativa. C’è tuttora chi si interroga sugli errori passati che potrebbero aver contribuito al declino produttivo del paese e sui possibili modi per rimediarvi […]

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