Brancaccio sul Foglio: “Il blocco dei licenziamenti crea disoccupazione? Non è provato”

Stralci da un’intervista a Emiliano Brancaccio su Il Foglio, 29 maggio 2021

Blocco dei licenziamenti, come uscirne nel modo migliore? Fine agosto o fine giugno?

Meglio fine agosto, ma a livello macroeconomico il tema non è decisivo, una differenza di due mesi è quasi insignificante.

A ritroso, avrebbe consigliato nel marzo 2020 di attivare il blocco dei licenziamenti? E di rinnovarlo fino all’estate 2021?

Gli economisti contrari al blocco dei licenziamenti ritengono che questo genere di lacci legislativi renda inefficiente il funzionamento dell’economia, impedisca la “distruzione creatrice” del libero mercato e alla fine faccia danni alla crescita e all’occupazione. Teoria elegante e di successo, che però viene spesso smentita dalle evidenze empiriche.

Ci sono evidenze di effetti negativi sulle assunzioni e sugli investimenti e rinnovamenti aziendali dovuti alla mancanza di flessibilità in uscita per le imprese?

Se ci riferiamo specificamente allo shock pandemico nel nostro paese, tra i pochi studi già pubblicati una ricerca di Bankitalia conclude che, assieme all’estensione della cassa integrazione, il blocco potrebbe aver contributo a evitare 200 mila licenziamenti aggiuntivi nel 2020. Se parliamo in termini più generali, il blocco di fatto corrisponde a un aumento degli indici di protezione del lavoro con cui gli economisti stimano l’impatto delle politiche di flessibilità del lavoro sull’occupazione. Ebbene, l’ottantotto percento delle ricerche pubblicate nell’ultimo decennio su riviste accademiche internazionali smentisce l’idea che la flessibilità favorisca l’occupazione. Anche istituzioni storicamente favorevoli alla deregulation del lavoro come Banca Mondiale, OCSE e FMI, hanno riconosciuto che l’impatto della flessibilità sull’occupazione e sulle altre variabili macroeconomiche risulta “insignificante o modesto”, “nullo o limitato”, “non significativo”.

Da mesi si parla di associare allo sblocco dei licenziamenti una riforma del welfare che lo renda più inclusivo e punti sulla formazione. Per ora non è stato fatto quasi nulla. Cosa possiamo aspettarci dai prossimi mesi?

Una seria politica di formazione dei lavoratori disoccupati è benvenuta. Ma vediamo di chiarirci su un punto: i posti vacanti disponibili non raggiungono un quinto del totale dei disoccupati. Con un tale scarto tra domanda e offerta di lavoro, la soluzione chiave non sta certo nel condizionare l’erogazione dei sussidi all’impegno dei lavoratori a qualificarsi o a cercare attivamente un’occupazione. Questa logica punitiva di “workfare” è vecchia, fa danni ai lavoratori e non crea nessuna efficienza, in qualunque modo la intendiamo. Piuttosto bisognerebbe creare più posti di lavoro, e per farlo si dovrebbe iniziare almeno ad ammettere che le politiche macroeconomiche messe finora in atto in Italia e nel continente europeo sono insufficienti rispetto all’enormità di questa crisi.

(Intervista di Lorenzo Borga – testo completo sul il Foglio)